crescita personale

Hai letto il testo nell’immagine? ^^ No, non è stregoneria…! E’ proprio opera del nostro cervello! 😛

Il cervello, infatti, applica dei filtri alle varie informazioni che riceve (utilizzando come modalità le generalizzazioni, le distorsioni e le cancellazioni), in modo da semplificarci la vita. Infatti, se così non fosse, saremmo pieni di informazioni inutili e ciò ci farebbe sprecare diverse energie psico-fisiche.

Il nostro cervello, perciò, fa una selezione automatica e incondizionata di quello che ci può servire, e oggi ti parlerò proprio della cancellazione, che è un processo di selezione di alcuni aspetti e di esclusione di altri.
E’ bene conoscere la cancellazione perché non è sempre positiva e potrebbe capitare che, invece di venir eliminate cose inutili, vengano eliminate informazioni per noi essenziali e questo comporterebbe seri problemi nel modo di comunicare con noi stessi e con gli altri.

Le cancellazioni si distinguono in:

  • cancellazione semplice

Avviene quando una parte della frase viene eliminata perché è data per scontata (alcune volte erroneamente) e non è specificato a chi o a cosa si faccia riferimento.
Esempio: la frase “sono stanco” non ci dice specificatamente il perché si è stanchi.

  • cancellazione comparativa/superlativa

Avviene quando manca il termine di paragone.
Esempio: la frase “sono il migliore” non ci dice specificatamente rispetto a chi o rispetto a che cosa si è il migliore.

  • nominalizzazione

Si tratta di una parola (composta solitamente dagli affissi -one, -tura, -ismo, -ità) che descrive un processo (un verbo che esprime un’azione) ma che viene trasformata in sostantivo.
Esempio: motivazione, depressione, rispetto, fiducia, comunicazione, sensibilità, comprensione, ecc.
Perché bisogna fare attenzione nell’usare le nominalizzazioni?
Prova a pensare… dire “vivo in solitudine” e dire “vivo da solo” ti sembrano la stessa cosa? 😉

  • cancellazione dell’indice referenziale

Non viene espresso chi deve compiere l’azione.
Esempio: “Bisognerebbe agire”.
Ma chi deve agire? Secondo me il termine bisognerebbe viene usato troppo spesso per scaricare le responsabilità su qualcun’altro!!! 😉

  • spostamento dell’indice referenziale

Si utilizza il “tu” anziché l’ “io” come se l’esperienza non fosse riferita direttamente a sé, ma ad altri (ecco un altro modo per scaricare le responsabilità…).
Esempio: “in questi casi ti chiedi sempre cosa fare”.

  • falso avverbio

Si tratta di avverbi (che terminano in -mente) che hanno potere persuasivo perché trasformano una valutazione soggettiva in un’evidenza a carattere generale.
Esempio: “ovviamente a lei non importa”.

  • verbo non specifico

E’ un verbo che cancella il quando ed il come.
Esempio: nella frase “Lui mi usa” non è chiaro in quale modo specifico avvenga l’azione. In che modo ti usa?

Cosa succede se facciamo delle cancellazioni?
Se facciamo delle cancellazioni potrebbe capitare che gli altri riempano i “pezzi” mancanti interpretandoli a modo loro e utilizzando la loro mappa del mondo, cioè attribuendo al nostro messaggio un significato (probabilmente diverso da ciò che intendiamo noi) in base a quello che LORO credono e/o pensano.

E se sono gli altri a fare delle cancellazioni?
Bene, grazie al metamodello (detto anche linguaggio di precisione) possiamo comprendere meglio il punto di vista dell’altra persona e riuscire ad entrare maggiormente in sintonia con essa.
Il metamodello è uno strumento che racchiude in sé un insieme di domande che ci aiutano a recuperare le informazioni cancellate, in modo da non creare interpretazioni errate.

Vuoi sapere quali potrebbero essere queste domande? Lo scoprirai in uno dei prossimi articoli… 😉

P.S.: Vuoi conoscere altre interessanti verità (ben 101!) sul cervello? Allora leggi questo articolo del mio amico Stefano Mini!

2 commenti

  1. Grazie Luisa!
    Mi piace molto il modo con cui spieghi questi argomenti! Infatti io, forse un po’ alla maniera di Milton, quando per esempio si tratta di cancellazioni comparative, prima di addentrarmi a capire in che modo sta succedendo qualcosa nella mente dell’interlocutore, a volte le faccio una domanda, prima generale: “In che senso…?” e poi sulla base delle risposte cerco di adeguare le altre domande, anche per entrare gradualmente e senza che l’altro si senta invaso… Pensi che a volte essere diretti serva, o sia meglio essere graduali?
    Grazie,
    Andrea

    • Grazie a te Andrea!
      Dipende sicuramente dai casi, ma secondo me è sempre meglio essere graduali, perché non puoi conoscere la reazione dell’altra persona e, entrando nel suo “mondo” troppo direttamente, si rischia di passare per “invasori” con la sola conseguenza che la persona tira subito sù un “muro difensivo”.

      Grazie ancora per il commento!

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